Testo per il catalogo della mostra "Sulle Spalle dei Giganti".

Sulle spalle dei giganti

L’arte è lo strumento maggiormente utilizzato per la perpetuazione della Memoria. Solitamente lo spazio maggiore è dato alla letteratura, che per quanto possa riportare un’immagine violenta della Memoria, riesce a rendere un messaggio così delicato tollerabile anche dagli animi più sensibili. Le arti visive in questo caso arrivano per seconde, perché le immagini di verità creano automaticamente un legame profondo che va a risvegliare delle emozioni ataviche. Non a caso qui esposte ci sono delle opere fatte e pensate come ciclo frutto di un ragionamento diverso, ma per il quale è possibile entrare in legame simpatetico.

Sulle Spalle dei Giganti è un libro di Umberto Eco edito nel 2017 da La Nave di Teseo. Qui sono presentati molti dei racconti che il filosofo ha esposto negli anni, ma con un linguaggio e una metodologia narrativa più vicini al grande pubblico a cui il libro si vuole riferire. Quest’opera è stata la chiave di volta per Vincenzo Baldini nella messa in pratica di un’idea che da tempo abitava la sua mente. 

La mostra del 2018, che con il libro di Eco condivide il titolo, ha visto per la prima volta esposti questi quadri che popolano oggi le sale dell’esposizione. Come spesso accade nella pratica di Baldini, anche queste opere sono evolute assieme all’artista nel proprio percorso. A distanza di quasi 5 anni, i quadri che erano speranzosi e aperti alla possibilità di un’umanità come concetto polisemico, oggi al fronte della pandemia assumono un’aura più emozionale. Oggi troviamo una selezione del nucleo iniziale di opere: un percorso celebrativo di tutte le pratiche del viaggio e dell’esodo.

Una delle prime opere vede una figura stesa la cui schiena è percorsa da piccole figure. Il gigante accoglie quindi in maniera quasi inconsapevole i suoi passeggeri, si lascia percorrere, senza essere necessariamente un protagonista attivo. A questo vengono contrapposte altre due immagini: una con un gigante inserito in un paesaggio più cupo, cosmico, dove trova una nuova dimora uscendo dallo spazio bidimensionale, l’altro invece che ripete il gesto del ponte sottostante. In entrambe le opere il gigante è nella stessa posizione, ma mentre il secondo assume un atteggiamento attivo e propulsivo, il primo essendo inserito in un paesaggio universale, vuole sottolineare ancora di più come queso ciclo di opere possa essere letta da diversi punti di vista. Proseguendo nella lettura, troviamo un’immagine più intima: qui le figure sono due e una è tenuta in braccio dall’altra. Chi trasporta è in atteggiamento fiero, con un piede in avanti per raggiungere senza timore la meta, mentre la figura trasportata è abbandonata in maniera estremamente fiduciosa nel compagno di viaggio ad una tranquillità quasi onirica. Le ultime due opere invece sono più incentrate sul punto di vista del gigante. Entrambe risultano come ricerche sul mondo interiore, sono una più concentrata sul brodo primordiale di emozioni che fisicamente muove il protagonista, l’altra una ricerca sulla responsabilità che il gigante si prende quando si presa come mezzo per l’esodo.

Tutte le opere sono caratterizzate dalla forte presenza di materia e colori cauti, come è uso nella pratica di Baldini. Questa tecnica di pittura quasi scultorea lascia lo spettatore libero di creare a propria narrazione al di là del reale, del tangibile, così come avviene appunto nella scultura.

Il proseguimento della narrazione era suggerito dal sottotitolo della mostra del 2018, Altrove è l’Unico Posto Possibile. Era sottolineata ancora la necessità di spostarsi in maniera collettiva verso un punto in comune, o meglio, una comunità. La meta poteva essere raggiunta solo dopo essere stati trasportati dai giganti, così l’umanità poteva finalmente ritrovare se stessa, ricostriursi e conoscersi in questa nuova e mutata forma.

Qualsiasi persona ha avuto necessità ad un certo punto della propria esistenza di fare un passaggio sulle spalle di un gigante per arrivare ad una nuova dimensione di consapevolezza. Boris Groys in Politica dell’Immortalità più che di consapevolezza parla di trauma: “negli ultimi tempi tutto viene interpretato come effetto di un trauma. Il trauma oggi si presenta come l’ultima garanzia ontologica d’immortalità comunemente accettata, dopo che tutte le altre garanzie paragonabili sono state messe in discussione”.

Esattamente qui ci ritroviamo: a curare un trauma generazionale con l’arte, quella stessa che è stata negata, strumentalizzata, condannata e dimenticata. Nello specchio dell’arte vediamo l’immortalità, la analizziamo, ne prendiamo atto e per mezzo di questa possiamo accettare e rimarginare delle ferite.

Il potere protettivo e taumaturgico dell’arte è il medesimo dei giganti: entrambi votati alla salvaguardia delle idee e delle anime. 

A questo punto del nostro ragionamento ci sembra immediato chi nella nostra storia ha avuto il ruolo di Gigante. In questo Giorno della Memoria la comunità ebraica di Reggio Emilia quindi non vuole solo ricordare chi è stato estromesso dal mondo, ma anche celebrare chi ha permesso il progredire dell’esistenza di tante persone e famiglie. Tutti quei giganti che, con il loro coraggio, hanno trasportato le vite di tantissime persone verso una salvezza fisica e hanno scelto di percorrere la zona grigia per uscirne dalla parte dei gentili.