Testo per il catalogo della residenza Monos Monos.

Mostra ΆΛΛΟ ΕΝ ΆΛΛΟ​

Quando si ferma il tempo?

Boris Groys nel suo testo Politiche dell’Immortalità scrive che “il filosofo, così come l’artista, non è qualcuno che vede, ma qualcuno che mostra”. 

Dalla necessità di mostrare senza provincialismi cosa stesse succedendo nel panorama delle arti visive e del contemporaneo è iniziato il percorso che ha in questa residenza MONOS MONOS un ultimo dei tanti traguardi raggiunti in 20 anni di esperienza dell’associazione CRAC, Centro in Romagna per la Ricerca e l’Arte Contemporanea. Nei quasi 20 anni di attività, c’è stato un susseguirsi di mostre nel senso più o meno letterale del termine, da artiste e artisti locali, così come di ricerche di chi il territorio romagnolo non lo vive in prima persona. Parlare del lavoro di un’associazione dalla vita lunghissima riducendolo a esposizioni è riduttivo: come si è detto con la presidentessa Rosa Banzi e il vice-presidente Gianni Mazzesi, la necessità è piuttosto di concretizzare un luogo sicuro per chi fosse pronto a svelare, così come a farsi svelare. Operare in provincia, in luoghi schizofrenici perché fermi in un limbo temporale di un passato-presente richiede passione, perché la provincia, non più teatro di politiche conservative, ma propulsione di nuove creazioni; è abitata da persone liberate da preconcetti, dallo schiavismo del gusto e delle idee dominanti. In provincia si può esplorare, si possono cercare i dettagli, si può dare e ricevere con medesima passione in entrambi i casi. Non c’è bisogno di attirare talenti, come Richard Florida ha espresso nella sua trilogia sulla classe creativa, perché questi talenti esistono già, hanno forse bisogno di riconoscimento, di spazio per poter creare e dare vita a ragionamenti, a opere d’arte ardenti della stessa passione che muove i promotori della residenza e chi l’ha supportata. Certamente è questo che, evidenziato ancor di più dal momento storico, permette all’artista di creare: la libertà. Quando il tempo si ferma, chi ha avuto fortuna, può lasciarsi andare all’indagine, allo studio dell’immortalità; a volte, come in questo caso, la fortuna si chiama Villa Verlicchi.

Massimiliano Marianni e il duo Didymos (Alessia Certo e Giulia Vannucci) hanno sfruttato il mese di residenza studiando il territorio con grande rispetto e andando ad evidenziare la dimensione umana, spesso persa nelle indagini per quanto personali possano essere. Per questo, prima della visita all’opera è stato chiesto di dimenticare il telefono fuori, di fermare delle immagini con la mente e partecipare al rituale in tre atti. Insomma, di lasciare che gli artisti potessero mostrare senza il filtro del terzo occhio digitale. Così, la performance si apre in una stanza che raccoglie al centro dei calchi di cera dalle forme più disparate, ma si notano subito alcune grottesche della facciata di Villa Verlicchi. Queste vengono raccolte e posizionate in una macchina che sciogliendole sparge nell’aria un profumo accogliente e una prima melodia. Qui risalta il modus di Marianni, artista ravennate che da anni lavora con diverse soluzioni mediali, spaziando dal video in stop motion alla scultura e grafica. Il suono non da ultimo svolge spesso una funzione centrale nella sua poetica; in questa occasione in particolare risulta essere il collante tra le pratiche, il punto di condivisione. Nel secondo atto della performance diventa protagonista il suono della voce di Didymos, che intona una canzone in greco antico. Certo e Vannucci, che hanno una carriera breve ma ricca di traguardi, inseriscono spesso nella loro pratica gli studi filosofici che entrambe hanno alle spalle, come hanno fatto anche questa volta sottolineando la dimensione rituale e utilizzando un linguaggio lontano dal nostro. Nel terzo e ultimo atto, arriviamo in una sala accolti da una struttura in legno, plexiglass e cera, in cui viene inserita dell’acqua e lasciato che sia questa a generare una melodia sempre randomica.


ΆΛΛΟ ΕΝ ΆΛΛΟ​, Allo en Allo, in greco significa “una cosa in un’altra”. Nel nostro caso è una parte di bassa romagna nei territori inconsci, una parte esistente nell’invisibile. Un dettaglio mostrato e glorificato con la gratitudine di materiali quotidiani, a cui appartengono tutta la ricerca e gli sviluppi che ne sono conseguiti. Allo en Allo ha saputo mostrare uno scambio potenzialmente infinito tra tutte le parti: tra gli artisti, tra il visitatore e l’opera, tra il materiale e l’immateriale, lasciando un senso di rinnovata curiosità verso la scoperta e la riscoperta del certo. Allo en Allo restituisce il potere di fermare il tempo e lasciare che sia un dettaglio a mostrare luoghi inesplorati, talvolta fisici, talvolta interni.