Intervista al curatore pubblicata su Forme Uniche.

Focus su Alessio Vigni

Nuove possibilità del digitale: la pratica curatoriale di Alessio Vigni

Considerati tutti i canali di comunicazione online utilizzati per fruire l’arte, possiamo iniziare a fare un po’ di ordine e delineare le reazioni positive in questo mondo in uscita dalla pandemia. Voci autorevoli in materia hanno parlato di corsa contro il tempo effettuata da molte istituzioni per trasferirsi nel meta-mondo di internet, abbiamo visto mostre su Google Maps, musei-social, viewing rooms e fiere fotografate a 360°, poi riportate tali e quali sui dispositivi da cui le abbiamo fruite.
Il primo ragionamento necessario sul tema riguarda l’isolamento e la finestra che l’arte può essere su un mondo che, in realtà, ci è già familiare.
Alessio Vigni, giovane curatore toscano trapiantato a Venezia, ha deciso di allontanarsi dal consueto per entrare in una sfera più sperimentale di curatela. Attraverso due diverse esperienze, nell’ultimo anno ha iniziato a ragionare sulle soluzioni alternative per la fruizione dell’arte.
Il primo progetto, Dove Siamo,  ha animato dal 30 gennaio 2021 la città di Mestre proiettando sul ledwall di HTM Tower, oltre alle usuali pubblicità, anche le opere degli artisti rappresentati da Marina Bastianello Gallery, con cui Vigni collabora. Nel comunicato stampa si legge: “il progetto si propone di portare l’arte letteralmente sulla strada, superando così le attuali restrizioni adottate per il contenimento della pandemia”.
Piuttosto che applicare una semplice traduzione che trasportasse la mostra – inaugurata poche settimane dopo negli spazi della galleria – dalla semantica del fisico all’effimero del digitale, il curatore e Marina Bastianello – direttrice dell’omonima galleria – hanno chiesto agli artisti di pensare alcune opere che potessero essere proiettate nel ledwall.
Dopo questa prima esperienza, e la frenesia del mondo dell’arte nei confronti dell’arte digitale degli ultimi mesi, Vigni si rimette alla prova con una nuova esposizione ai limiti del pensabile che prende avvio da alcune domande: in che modo si possono usare gli spazi pubblici per fruire l’arte contemporanea? Dev’esserci per forza una divisione netta o può esistere una contaminazione tra reale e digitale? L’opera è ancora legata al proprio supporto?
Le risposte si trovano analizzando il contesto e il progetto Temporaneamente.
La Marina Bastianello Gallery è sita a Mestre, nel polo culturale M9, uno spazio recentemente ristrutturato dove hanno sede anche il Museo del Novecento, una libreria, due bar, degli uffici e lo studio aperto Temporaneo. In questo contesto di grande fermento nasce il progetto HiVe-M9 (Hub Innovazione Venezia), una collaborazione tra tutti gli enti del polo M9, che rivolge il proprio sguardo verso le personalità emergenti, strizzando l’occhio all’arte digitale.
Lo studio Temporaneo, centro di incubazione della mostra, è il luogo in cui principalmente lavorano Eva Chiara Trevisan e Francesco Piva, entrambi rappresentati dalla galleria. Per ampliare il concetto di apertura dello studio, che risulta essere una vera e propria vetrina, e che nel futuro si propone come spazio di lavoro condiviso, gli artisti hanno deciso di coinvolgere, oltre al curatore Vigni, altri colleghi che, come lo studio, sono all’alba del loro percorso. La caratteristica che risalta più di altre è l’impulso creativo che vuole trovare soluzioni attraverso domande. Come avevamo già anticipato, le domande che Vigni propone con il progetto Temporaneamente, attraverso le opere di Boris Contarin, Ana Dévora, MUDA, Giuliano Tarlao e Alice Palamenghi, sono una lente nuova con cui esperire il mondo perché, se la necessità è di stare solo in luoghi aperti, allora la soluzione sta nel migliore modo di sfruttarli.

L’intera esposizione è presentata attraverso due totem interni al museo e tre proiezioni, di cui una serale, in modo tale da poter essere fruita completamente attraverso questi meta-musei. I totem, come il ledwall di HTM Tower, nascono come supporti informativi, sono interattivi e aiutano chi visita il museo a orientarsi. Qui l’opera non è più legata né al supporto, né allo spazio, né al contesto e neppure agli orari, viene completamente divincolata e lasciata libera di sviluppare una propria autonomia e sensibilità.
Il perno centrale della visione di Alessio Vigni risiede, però, in un altro concetto: tra le domande che si è posto, evidente è il rapporto tra sensibilità artistica e tecnologica. Nonostante non esista una vera e propria definizione, il concetto di sensibilità artistica è comune a chiunque e possiamo definirlo come la ricezione di input culturali che generano output nei confronti dell’arte, sia a livello di produzione sia di ricezione. Portando la nostra analisi verso il punto di vista produttivo, se in questo processo viene inserito un attore dotato di intelligenza artificiale, che sia un computer, una macchina di ripresa digitale o qualsiasi altro strumento, a cui l’artista dà un input, esiste sempre un fattore randomico che vincola il risultato finale. L’output che viene generato condivide con la produzione analogica quell’autonomia che potrebbe portarci a vedere l’arte digitale sotto una luce meno fraudolenta?
Questa è la vera domanda che mette in moto il nostro interesse nei confronti del progetto artistico; Alessio Vigni ha dimostrato che non importa la tipologia di arte digitale che viene presentata, né tantomeno l’alloggio in cui vengono inserite le opere, ma il nostro rapporto con l’opera stessa.
Per quanto l’artista possa essere in grado di educare la macchina a generare nella maniera più veritiera ciò che la sua mente pensa, esisterà sempre un fattore casuale che determina l’autonomia dell’immagine dall’idea. Se vediamo l’opera d’arte digitale sotto questo punto di vista, allora possiamo riportarla all’origine dell’immagine stessa.
Prendiamo il mito della caverna o quello dell’origine della pittura, siamo di nuovo di fronte alla nostra necessità di dare un nome alle cose, o meglio, in questo caso, di dare forma alle idee, e per farlo ci serviamo di nient’altro se non degli strumenti del nostro tempo.
Dopo più di un anno parlare di “momento” significherebbe peccare d’ingenuità; bisogna accettare il fatto che la nuova normalità, che abbiamo atteso con tanta speranza, non è all’altezza dei nostri sogni. Questo, però, non significa che non ci siano attori in grado di riaccendere il nostro desiderio e farci ragionare su come due mondi diversi possano comunicare. O meglio, debbano comunicare. Tanto meno significa che si debba salire sul carro del vincitore quando non ci si sente parte di quel mondo specifico. L’arte digitale non è il tristo mietitore tanto atteso dalla pittura, anzi, pare che anche questa volta le arti maggiori sopravvivranno alle insidie dei nuovi media, trovando nuovamente una riformata dimensione.
Quella che Alessio Vigni e Marina Bastianello Gallery hanno iniziato è una stagione importante dal punto di vista dell’onestà verso il modo di lavorare e i media utilizzati, verso le intrinseche necessità commerciali, che spesso vengono nascoste in nome di un pudore non meglio giustificato, e verso la fruizione stessa.

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